L'intervento di papa Francesco

Risposte al Tavolo Ambiente/Creato

LA PACE VA CURATA 

LA PACE VA CURATA

 

«Mi chiamo Vanessa Nakate, sono una attivista ugandese, una attivista per il clima. La prima volta che ho visto il Papa è stato quando è venuto in visita nel mio Paese. L’ho visto sulla sua Papa mobile, ho detto: Sono contenta, anche se siamo divisi da un finestrino, ma almeno l’ho visto. Non avrei mai immaginato che nove anni dopo sarei stata sullo stesso palcoscenico dove c’è lui… è veramente un onore, un onore infinito! Non è necessario avere la meglio come soggetti singoli, ma come umanità, come collettività; un pianeta vivibile è una soluzione ottimale per tutti, non per alcuni».

Annamaria Panarotto, mamma No-Pfas del Veneto: «Ecco vi rileggo il versetto che ha detto adesso Vanessa: Non abbiamo necessità di vincere come individui, dobbiamo vincere insieme come umanità! Un pianeta sano e vivibile è una vittoria per tutti, non solo per alcuni! Ecco, caro Papa Francesco, sono una delle mamme No-Pfas del Veneto. Le mamme si fanno sentire, sempre! Un gruppo che è impegnato da molti anni contro l’inquinamento delle acque qua nel Veneto che ha ammalato i nostri figli e sono qui con Vanessa Nakate, giovane e coraggiosa custode della casa comune venuta dall’Uganda. La pace si fa insieme. Non può esserci pace fra gli esseri umani se gli uomini e le donne non fanno pace con il Creato. Costruire relazioni di giustizia fra tutti i viventi richiede tempo. Come ritrovarlo in quest’epoca segnata da velocità e immediatezza? Dopo, caro Papa Francesco volevo dire che oggi siamo qua in molti, moltissimi e siamo tutti artigiani di pace, siamo rappresentanti di gruppi, movimenti, associazioni, Chiese, ma siamo e vogliamo essere, rimanere artigiani di pace. Però sentiamo anche l’urgenza quasi di costringere la politica ad avere visioni diverse, a dare risposte più immediate. Allora volevo chiederti se ci puoi aiutare e capire che passi fare…».

La risposta di papa Francesco: «Grazie! Mi è piaciuto… soprattutto mi è piaciuto quel tuo “però”. Grazie! Sto guardando quel cartello: “Smilitarizziamo mente e territori”. Stiamo parlando di pace, ma voi sapete che le azioni che in alcuni Paesi sono più redditizie sono quelle delle fabbriche delle armi? È brutto questo, è brutto. E così non possiamo smilitarizzare, perché è un affare molto grande. Voi guardate l’elenco dei Paesi che fabbricano le armi, e vedete un po’ che bell’affare è quello. Preparare per la morte. Che cosa brutta! E tuo “però” sta indicando con il dito questa situazione di contraddizione.

Nella nostra società viviamo questa tensione: da un lato, tutto ci spinge ad agire velocemente, siamo abituati ad avere una risposta immediata alle nostre richieste e diventiamo impazienti se si verifica un ritardo. Per esempio, la rivoluzione digitale degli ultimi anni ci ha permesso di essere costantemente connessi, di poter comunicare facilmente con persone molto distanti, di poter svolgere il nostro lavoro a distanza. Dovremmo avere più tempo a disposizione e invece ci accorgiamo che siamo sempre in affanno, rincorrendo l’urgenza dell’ultimo minuto. Dall’altro lato, sentiamo che tutto questo non è naturale. Questo è “bellicoso”, questo è guerra, non è naturale. Nella nostra società si respira un’aria stanca, c’è la stanchezza nell’aria, tanti non trovano ragioni per portare avanti le loro attività quotidiane, appesantiti dalla sensazione di essere sempre fuori tempo, come intrappolati nella ripetizione di quanto si fa, poiché non si ha la forza o il tempo di cercare un’armonia. La pace non si inventa da un giorno all’altro. La pace va curata. Se noi non curiamo la pace ci sarà la guerra, piccole guerre, grandi guerre. La pace va curata, e oggi nel mondo c’è questo peccato grave: non curare la pace! Il mondo è in corsa, occorrerebbe a volte saper rallentare la corsa e non lasciarci travolgere dalle attività e fare spazio dentro di noi all’azione di Dio, all’azione dei fratelli, all’azione della società che cerca il bene comune.

“Rallentare” può suonare come una parola fuori posto, in realtà è l’invito a ricalibrare le nostre attese e le nostre azioni. Si tratta di fare una “rivoluzione” in senso astronomico: andare a cercare la pace, e come si fa questo? Sempre con il dialogo: la pace si fa nel dialogo. Riconoscere gli altri, rispettarli con saggezza. La sfida enorme che abbiamo davanti è quella di andare controcorrente per riscoprire e custodire contesti in cui tutto ciò sia possibile viverlo con gli altri. E non dobbiamo inventare tutto da zero, dobbiamo farci carico della storia.

Tante volte le guerre vengono dall’impazienza di fare presto le cose e non avere quella pazienza di costruire la pace, lentamente, con il dialogo. La pazienza è la parola che dobbiamo ripetere continuamente: la pazienza per fare la pace. E se qualcuno – lo vediamo nella vita naturale – se qualcuno ti insulta, ti viene subito la voglia di dirgli il doppio e poi il quadruplo e così si va moltiplicando l’aggressione, le aggressioni si moltiplicano. Dobbiamo fermare, fermare l’aggressione. Una volta – è stata una scena molto divertente – c’era una persona che è andata a comprare qualcosa, e si vede che non le davano il prezzo giusto e allora ha gridato di tutto, ha gridato di tutto. E il signore del negozio lo ascoltava e quando quello ha finito di gridare gli ha detto: “Signore, ha finito?” – “Sì, ho finito!” – “Vattene a spasso”. Non l’ha detto con queste parole, con parole più forti, ma l’ha mandato a fare una passeggiata. Quando noi vediamo che le cose incominciamo a essere bollenti, fermiamoci, facciamo una passeggiata o diciamo una parola, e le cose andranno meglio. Fermarsi in tempo, fermarsi in tempo!».